Molti di voi probabilmente non conoscono il caso di Pedio raccontato da Plinio il Vecchio.
Ebbene non lo conoscevo nemmeno io.
Voglio citarlo perché secondo me può essere un esempio di come oggi dovremmo trattare i Disturbi di Apprendimento (DSA).
Pedio, un bambino muto nato in una famiglia di alto rango venne avviato alla pittura affinché si valorizzassero le risorse di cui disponeva.
Col tempo Pedio, racconta Plinio, si sarebbe affermato come valente pittore.
Un fatto sorprendente data anche la bassa considerazione che della pittura si aveva nell’ambiente romano dell’epoca, ritenuta un’arte meccanica.
L’unicità del fatto è data, oltre dalla scelta della pittura, dall’aver deciso di investire su un bambino con una disabilità affinché potesse esprimere pienamente le sue risorse creative non intaccate dall’handicap.
Normalmente, all’epoca, il destino di Pedio sarebbe stato molto diverso: ucciso alla nascita o alle prime manifestazioni della disabilità.
Oggi nel mondo si discute molto sul ruolo dei DSA nella nostra società.
Non si può definire disabilità medica in quanto non si tratta di un deficit patologico che può essere curato, trattato, riabilitato.
Infatti oggi si cerca di mettere in pratica un modello socioecologico, che riguarda il rapporto tra le capacità dell’individuo e il contesto in cui abita.
Nel caso dei DSA il contesto difficoltoso è la scuola
L’approccio da utilizzare dovrebbe essere l’integrazione e l’inclusione e quindi rimodellare l’ambiente per assicurare accesso e integrazione ad ogni individuo.
Come ho sempre ribadito con forza, non sono i bambini che hanno disabilità, ma è la scuola che non è pronta per mettere in atto un approccio integrato.
Per quanto ci si sforzi di mettere in atto strumenti dispensativi e compensativi per favorire l’apprendimento non è sufficiente ad integrare nel gruppo dei pari.
La pratica, la creatività, il gioco libero, restano ancora delle chimere in ambito educativo.
Una scuola basata solo su teoria e memorizzazione avrà sempre a che fare con delle difficoltà in alcuni studenti.
Come nel caso di Pedio, bisognerebbe mettere un individuo nelle condizioni di esprimere le sue potenzialità in base alle sue capacità.
A pensarci bene siamo un pò tutti “disabili” in qualcosa.
Una mia amica non sa cucinare e dice di essere “davvero impedita”, non per questo morirà di fame, troverà un modo di sopravvivere alla sua “disabilità”.
Molte disabilità sono cosi velate e intime che vengono perfettamente mascherate nel contesto sociale.
Esistono persone normali?
No!
La normalità non esiste, esiste la diversità e la varietà di individui.
La società ci vuole far credere, che dobbiamo avere tutti la stessa formazione e sapere tutti le stese cose.
Abbiamo addirittura paura di non essere omologati e di non essere accettati, come una vera e propria trappola molti di noi vivono la propria vita in riferimento ad un modello sociale e non al proprio modello naturale.
Che ne dite, riusciremo a far diventare la scuola un luogo di inclusione?
Riusciremo a trasformare la scuola in un luogo dove tutti possono esprimere il proprio potenziale come ha fatto Pedio?
Benny Fera
Psicologo e Autore
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