Mi è successo parecchie volte di guardare negli occhi insegnanti sbigottiti o genitori molto fermi sul fatto: “mio figlio sta bene, è intelligente, non capisco perché non riesce a studiare, a stare in classe o a rispondere quando viene interrogato”.
Facendo un passo indietro nella mia vita, ricordo esattamente questa sensazione di disagio che provavo verso gli adulti. La loro convinzione era talmente forte che mi sembra completamente inutile provare a spiegare il mio vissuto interiore. Ero convinto che non avrebbero capito, per di più, non sapevo nemmeno come avrei potuto spiegarlo.
Mi sentivo diverso, ma cosa vuol dire esattamente sentirsi diverso?
Abbiamo parlato negli articoli precedenti di alcune importanti caratteristiche cognitive dei neurodiversi, in cui facciamo rientrare gli Asperger (spettro autistico), i DSA e anche gli ADHD.
La prima diversità è nel modo di capire gli altri, un elemento fondamentale per avere delle relazioni sane e soddisfacenti. Il problema di non capire cosa provano gli altri e quindi di non sapere come comportarsi nei loro confronti è di certo un problema molto limitante.
L’altra faccia della medaglia di questa difficoltà è che anche se a livello di comprensione riesce difficile interpretare gli stati d’animo degli altri, il problema più grande è che li percepiamo attraverso i nostri sensi, le sentiamo dentro di noi, a tal punto da non distinguere più qual’è il limite tra noi e gli altri, e quindi siamo sopraffatti da emozioni senza capirne realmente il motivo.
A condire il tutto c’è un’eccessiva sensibilità che in situazioni di disagio, come ad esempio un’interrogazione, contesti rumorosi e pieni di gente, posti pieni di luci, mettono in blocco il ragionamento e diventa veramente un dramma restare in questi contesti o situazioni senza soffrire e senza riuscire a trattenere una conversazione. La sensazione è quella di sentirsi perso, come se la mente scappa e volesse andare da qualche altra parte, è davvero difficile restare concentrati.
Il fatto di non capire gli stati d’animo degli altri non vuol dire esserne completamente indifferenti, anzi, nei bambini neurodiversi c’è uno sforzo per capire che tipo di emozione l’altra persona sta provando, ed a volte dobbiamo improvvisare, ad esempio in una situazione come l’interrogazione, ancor prima di iniziare pensiamo alla rabbia dell’insegnante quando ci vedrà fare scena muta, anche se questo nella realtà non accade, è tutto nella nostra testa, provare a capire le emozioni degli altri per noi è davvero difficile.
Anche nelle conversazioni sociali, ci sono delle difficoltà nell’intrattenere una conversazione, per disinteresse o comunque per il fatto di considerare le conversazioni sociali qualcosa di superficiale e inutile, tranne se non si tratta di parlare dei propri interessi speciali, allora li, al contrario, diventa difficile fermarsi. Gli interessi comuni spesso sono davvero un tabù ecco perché ci riduciamo a uno o due amici con coi possiamo condividere i nostri interessi ristretti.
Immaginate cosa vuol dire vivere con queste limitazioni per tutta la vita e considerate anche il difficilissimo passaggio alla vita adulta, cioè il percorso scolastico con una neurodiversità che comprende anche uno stile di apprendimento differente dalla massa.
Se la maggior parte dei cervelli funziona con windows, quello che resta funziona con IOS. Ovviamente il modello educativo scolastico è basato sullo “stile windows”, e per chi ha un sistema operativo diverso, è davvero difficile adattarsi, e spesso e volentieri il sistema va in crash.
Avete per un momento capito cosa vuol dire vivere con queste difficoltà?
Quali sono le conseguenze?
Vivere una vita cosi complessa, sempre sotto sforso e pressione per capire cosa vogliono gli altri da noi, e senza capirlo mai davvero fino in fondo, vivere con una forte sensibilità in un mondo iperstimolante, spesso non essere capiti e accettati, porta di certo ad ansia, stress, depressione, ritiro e ansia sociale, attacchi di panico, ossessioni e paranoie su se stessi, essere severamente critici con se stessi.
Per concludere ricordo ancora lo sguardo dell’insegnante in classe che mi incitava a rispondere alle domande, ed io perso in un mondo tutto mio, con il cervello in blocco, non riuscivo a dire una parola, e l’umiliazione che provavo dentro mi portava a pensare “perché esisto!”
Oggi per fortuna ci sono diversi strumenti per aiutare le persone che vivono i disagi legati alle neurodiversità, se trovi l’articolo interessante condividilo e non esitare a contattarmi per una consulenza personale
Dr. Fera Benedetto
Psicologo e autore
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