Il termine Neurodeversità è stato coniato nel 1980 dalla Sociologa Judy Singer.
La Dr.ssa Singer ha preso spunto dal termine Biodiversità.
Biodiversità vuol dire: differenziazione biologica tra individui della stessa specie, in relazione alle condizioni ambientali.
Questo vuol dire che, ad esempio, una stessa specie di piante presenta delle caratteristiche differenti da pianta a pianta, e queste caratteristiche cambiano e si adattano in relazione all’ambiente.
Per fare un esempio ancora più semplice, una pianta della stessa specie che ha le foglie più strette delle altre, avrà maggiore possibilità di sopravvivenza quando il clima diventa più torrido.
Come sappiamo sul pianeta terra, le condizioni climatiche non sono sempre le stesse e quindi le specie che vi abitano, si adattano ad esse.
Lo stesso ragionamento può essere traslato sull’essere umano per quanto riguarda la differenza interspecie, definita come neurodiversità.
Non sono solo i DSA ad essere neurodiversi, lo sono gli Asperger, gli autistici, i mancini, ed ognuno di noi.
Nel caso dei DSA, la condizione di “diversità” è più evidente a scuola dove questi ragazzi hanno difficoltà con le lettere e con i numeri.
La neurodiversità nei DSA, sta nel fatto di elaborare in maniera differente le informazioni provenienti dall’esterno.
In particolare nella lettura, il dislessico elabora le informazioni in maniera olistica e cioè attraverso una visione di insieme, quindi attraverso l’immaginazione.
L’immaginazione consente di arrivare al significato attraverso la visualizzazione mentale di ciò che si sta leggendo.
Differentemente, i non dislessici usano una elaborazione sequenziale, che procede a step attraverso la memoria di lavoro.
Grazie alle capacità di visualizzazione mentale nei DSA, la memoria di lavoro è poco utilizzata, per questo motivo sembra essere poco efficiente nei compiti che riguardano prettamente la letto-scrittura.
La didattica scolastica richiede un apprendimenti di tipo mnemonico, richiede un ragionamento di tipo sequenziale, composto principalmente di lettere e numeri dove è richiesto al massimo l’utilizzo della memoria di lavoro, per questo motivo il dislessico in classe non può sfruttare le sue caratteristiche naturali e quindi viene disabilitato nelle sue funzioni.
Riprendendo il concetto di biodiversità secondo cui nella stessa specie ci sono differenze inter-individuali che consentono la sopravvivenza della specie in base alle condizioni ambientali, si può fare lo stesso discorso sulla condizione sociale in cui è calato lo studente dislessico.
Il tipo di elaborazione cognitiva tipica del dislessico, non si adatta alla didattica scolastica.
La didattica scolastica oggi, si adatta alle condizioni sociali, in particolare alla crescita dell’industrializzazione, dove sono richieste competenze in serie.
In questo contesto socio culturale, il dislessico mal si adatta.
Non è un caso pero che questa neurodiversità (DSA) sia sopravvissuta nel tempo, questo ci dice che sicuramente è una caratteristica funzionale alla sopravvivenza della specie.
Il ragionamento olistico infatti consente di accedere più facilmente alla soluzione di problemi di ordine quotidiano, a creare nuove idee, ad avere una visione di insieme, capacità che danno accesso a numerose risorse.
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Benny Fera
Psicologo dislessico e autore
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