DSA e rifiuto scolastico: quali sono le percentuali.

Molti di voi avranno già letto il mio primo libro, nel quale si evidenzia forte e chiaro il rifiuto di andare a scuola, il dolore di dover affrontare una giornata in classe e l’ansia di dover essere sottoposto a stress e giudizio.

Più in superficie c’erano anche i famosi “disturbi di apprendimento” che mi rendevano difficile poter diventare parte attiva della lezione, delle interrogazioni e dei compiti, insomma mi sono sempre sentito in un mondo a parte.

Le difficoltà di questo tipo hanno origine solo nei DSA?

Non penso che mia madre sia stata l’unica a subire il rifiuto scolastico del proprio figlio e le lamentele quotidiane.

Da dove proviene questa difficoltà?

Sappiate che non è solo colpa del DSA, ma dietro, ci sono difficoltà specifiche legate alla relazione con i pari, con l’insegnante, alta sensibilità, come spiega il paragrafo di questo libro che sto approfondendo:

Rifiuto scolastico

Il bambino tipico può rifiutare di andare a scuola per molte ragioni, tra cui essere in ansia, voler evitare lezioni specifiche e voler restare con gli amici fuori dalla scuola.

Di solito, per il bambino con sindrome di Asperger, il rifiuto è dovuto all’ansia.

Per quelli più piccoli può trattarsi di ansia da separazione e non voler lasciare la compagnia della madre; il bambino ha bisogno della presenza di un genitore che rassicura e guida.

La classe può costituire un ambiente molto temibile che suscita un’ansia considerevole, e questo può tradursi in veri e propri segni fisiologici associati, come nausea, mal di testa e problemi intestinali.

Più avanti, nel corso dell’infanzia, il contrasto tra lo stile di vita e le situazioni a casa e a scuola può portare a un rifiuto di quest’ultima.

Il ridotto successo scolastico e sociale, la paura di essere presi in giro e la sensazione di essere travolti dalle esperienze nella classe e nelle aree di gioco possono portare a una reazione fobica nei confronti della scuola.

I programmi di intervento devono innanzitutto determinare quali dei suoi aspetti provocano ansia, incoraggiando poi la riuscita nel lavoro scolastico e nell’integrazione sociale.

Attwood, Tony. Guida completa alla Sindrome di Asperger (Italian Edition) (pp.277-278). Edra. Edizione del Kindle.

So perfettamente che questo paragrafo non parla di Dislessia e DSA, bensì di Asperger.

La Sindrome di Asperger riguarda lievi tratti autistici che rendono complesse le relazioni sociali oltre ad una maggiore attivazione sensoriale verso gli stimoli esterni.

Questi bambini sono spesso rigidi ed abitudinari e fanno fatica a cambiare i loro schemi.

Sono più a loro agio in solitaria e per loro le relazioni sociali non sono qualcosa di fluido e piacevole, ma qualcosa da interpretare, capire ed elaborare che comporta grande stress.

Si parla di Asperger perché bel il 15-20% dei bambini DSA può avere questa caratteristica e non si esclude che la restante parte ne abbia comunque alcuni tratti.

In fondo si tratta sempre di Neurodiversità, non siamo molto distanti da quello che abbiamo appreso fino ad ora sui DSA.

Nel caso dell’Asperger si va più nello specifico sui comportamenti e sui vissuti emotivi, piuttosto che solo e soltanto sulle difficoltà scolastiche che a mio parere sono solo la punta dell’Iceberg.

Insomma bisogna iniziare a guardare bene queste difficoltà perché come abbiamo visto spesso, non bastano gli strumenti compensativi e dispensativi per rendere la vita scolastica del bambino migliore.

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Dr. Fera Benedetto, psicologo esperto DSA e Asperger, Formatore e Autore Amazon

Problemi invisibili che influenzano la vita personale e sociale del bambino

Mi è successo parecchie volte di guardare negli occhi insegnanti sbigottiti o genitori molto fermi sul fatto: “mio figlio sta bene, è intelligente, non capisco perché non riesce a studiare, a stare in classe o a rispondere quando viene interrogato”.

Facendo un passo indietro nella mia vita, ricordo esattamente questa sensazione di disagio che provavo verso gli adulti. La loro convinzione era talmente forte che mi sembra completamente inutile provare a spiegare il mio vissuto interiore. Ero convinto che non avrebbero capito, per di più, non sapevo nemmeno come avrei potuto spiegarlo.

Mi sentivo diverso, ma cosa vuol dire esattamente sentirsi diverso?

Abbiamo parlato negli articoli precedenti di alcune importanti caratteristiche cognitive dei neurodiversi, in cui facciamo rientrare gli Asperger (spettro autistico), i DSA e anche gli ADHD.

La prima diversità è nel modo di capire gli altri, un elemento fondamentale per avere delle relazioni sane e soddisfacenti. Il problema di non capire cosa provano gli altri e quindi di non sapere come comportarsi nei loro confronti è di certo un problema molto limitante.

L’altra faccia della medaglia di questa difficoltà è che anche se a livello di comprensione riesce difficile interpretare gli stati d’animo degli altri, il problema più grande è che li percepiamo attraverso i nostri sensi, le sentiamo dentro di noi, a tal punto da non distinguere più qual’è il limite tra noi e gli altri, e quindi siamo sopraffatti da emozioni senza capirne realmente il motivo.

A condire il tutto c’è un’eccessiva sensibilità che in situazioni di disagio, come ad esempio un’interrogazione, contesti rumorosi e pieni di gente, posti pieni di luci, mettono in blocco il ragionamento e diventa veramente un dramma restare in questi contesti o situazioni senza soffrire e senza riuscire a trattenere una conversazione. La sensazione è quella di sentirsi perso, come se la mente scappa e volesse andare da qualche altra parte, è davvero difficile restare concentrati.

Il fatto di non capire gli stati d’animo degli altri non vuol dire esserne completamente indifferenti, anzi, nei bambini neurodiversi c’è uno sforzo per capire che tipo di emozione l’altra persona sta provando, ed a volte dobbiamo improvvisare, ad esempio in una situazione come l’interrogazione, ancor prima di iniziare pensiamo alla rabbia dell’insegnante quando ci vedrà fare scena muta, anche se questo nella realtà non accade, è tutto nella nostra testa, provare a capire le emozioni degli altri per noi è davvero difficile.

Anche nelle conversazioni sociali, ci sono delle difficoltà nell’intrattenere una conversazione, per disinteresse o comunque per il fatto di considerare le conversazioni sociali qualcosa di superficiale e inutile, tranne se non si tratta di parlare dei propri interessi speciali, allora li, al contrario, diventa difficile fermarsi. Gli interessi comuni spesso sono davvero un tabù ecco perché ci riduciamo a uno o due amici con coi possiamo condividere i nostri interessi ristretti.

Immaginate cosa vuol dire vivere con queste limitazioni per tutta la vita e considerate anche il difficilissimo passaggio alla vita adulta, cioè il percorso scolastico con una neurodiversità che comprende anche uno stile di apprendimento differente dalla massa.

Se la maggior parte dei cervelli funziona con windows, quello che resta funziona con IOS. Ovviamente il modello educativo scolastico è basato sullo “stile windows”, e per chi ha un sistema operativo diverso, è davvero difficile adattarsi, e spesso e volentieri il sistema va in crash.

Avete per un momento capito cosa vuol dire vivere con queste difficoltà?

Quali sono le conseguenze?

Vivere una vita cosi complessa, sempre sotto sforso e pressione per capire cosa vogliono gli altri da noi, e senza capirlo mai davvero fino in fondo, vivere con una forte sensibilità in un mondo iperstimolante, spesso non essere capiti e accettati, porta di certo ad ansia, stress, depressione, ritiro e ansia sociale, attacchi di panico, ossessioni e paranoie su se stessi, essere severamente critici con se stessi.

Per concludere ricordo ancora lo sguardo dell’insegnante in classe che mi incitava a rispondere alle domande, ed io perso in un mondo tutto mio, con il cervello in blocco, non riuscivo a dire una parola, e l’umiliazione che provavo dentro mi portava a pensare “perché esisto!”

Oggi per fortuna ci sono diversi strumenti per aiutare le persone che vivono i disagi legati alle neurodiversità, se trovi l’articolo interessante condividilo e non esitare a contattarmi per una consulenza personale

Dr. Fera Benedetto
Psicologo e autore
Whatsapp: 348 0019600

Le differenze tra Empatia cognitiva ed Empatia affettiva

Ho sempre pensato di essere empatico, sinceramente anche troppo, tanto da dover stare lontano da determinate situazioni per evitare il sovraccarico emotivo.

Mi sono accorto di non aver capito davvero a fondo il concetto di empatia fino a quando l’ho trovato ben descritto nel libro che sto leggendo Guida completa alla sindrome di Asperger.

Un libro dedicato a chi vuole approfondire in maniera più tecnica quelle che sono le difficoltà degli Asperger (o Autismo di livello 1) che spesso sono associate alla Dislessia e i Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA).

È spiegato molto bene il concetto di Empatia, ed adesso capisco dove può avere difficoltà un soggetto neurodiverso (DSA, Asperger, ADHD).

Riporto direttamente dal libro:

1.​ Empatia cognitiva: rappresenta la capacità di prendere in considerazione la prospettiva altrui e comprenderne intenzioni, pensieri, emozioni e comportamenti.

2.​ Empatia affettiva: rappresenta la tendenza a “sentire” le emozioni e gli stati d’animo degli altri e si divide a sua volta in:

a. ​Consapevolezza empatica: valuta sentimenti di compassione “orientati agli altri” e preoccupazione per gli sfortunati.

b. ​Sofferenza personale: misura sentimenti “orientati verso sé stessi” di ansia personale e disagio in contesti interpersonali emotivamente carichi.

Attwood, Tony. Guida completa alla Sindrome di Asperger (Italian Edition) (p.252). Edra. Edizione del Kindle.

A quanto pare, le persone Asperger e Neurodiverse, hanno una empatia affettiva intatta, ma molte difficoltà nell’empatia cognitiva.

Le difficoltà nell’empatia cognitiva, nella distinzione tra sé e l’altro, spesso porta ad avere alti livelli di ansia e sofferenza personale che possono portare ad un evitamento dalle situazioni emotivamente cariche.

Quindi, spesso, se una persona nello spettro autistico evita situazioni emotive non è perché sia disinteressata, ma perché ne è troppo coinvolta.

Questo è un concetto chiave per comprendere alcuni dei comportamenti antisociali degli Asperger (e in una buona percentuale anche dei DSA) che percepiscono le emozioni degli altri, ma letteralmente non sanno che farsene perché non hanno una empatia cognitiva adeguatamente sviluppata.

Sicuramente un percorso psicologico, aiuta a sviluppare quelle capacità di cui i DSA e i Neurodiversi in genere, sono carenti.

Clicca sul numero di telefono e scrivimi su whatsapp per richiedere informazioni su una prima consulenza 3480019600

Dr. Fera Benedetto
Psicologo e Autore delle Neurodiversità (DSA; ADHD; Asperger)

Formazione DSA: le difficoltà comportamentali, sociali ed emotive, hanno un nome.

Capire meglio le difficoltà comportamentali legate ai DSA, aiuta i futuri adulti a costruirsi una vita migliore.

Sono anni ormai che mi occupo di formazione sui Disturbi Specifici di Apprendimento.

Tutto nasce dalla mia esperienza personale. Solo a 30 anni sono riuscito a dare un nome alle mie difficoltà.

Ho voluto approfondire l’argomento dal punto di vista del comportamento, del modo di pensare e di vivere le emozioni, ed ho avuto modo di riflettere sulla rilevanza nella conoscenza di questa caratteristica.

Insegnanti, genitori e ragazzi stessi hanno trovato molto utile conoscere meglio questa caratteristica non solo dal punto di vista delle difficoltà scolastiche, ma anche e sopratutto nelle difficoltà di vita.

Studiando i DSA, noto una marcata attenzione alle difficoltà pratiche nella lettura, scrittura e calcolo, ma si accenna appena alle difficoltà che il bambino e l’adulto poi, devono affrontare nella vita di tutti i giorni, che non sono solo di carattere pratico.

Studiando e scrivendo sul blog delle difficoltà di socializzazione, che spesso diventano anche ritiro sociale, ho parlato anche spesso della ipersensibilità sensoriale, ho parlato anche della difficoltà nel gestire le emozioni, ma non ho mai dato un nome a queste caratteristiche temperamentali.

Da qualche tempo mi sono avvicinato al mondo dell’autismo, ma non come lo intendiamo in genere.

Spesso si pensa all’autismo come ad una difficoltà grave ed evidente che non ti permette di vivere una vita “normale” e autonoma.

Ma in pochi sanno che esiste un autismo lieve, chiamato Autismo di primo livello, o ad alto funzionamento o ancora meglio conosciuto come Sindrome di Asperger.

Non è una malattia, è una caratteristica esattamente come i DSA.

Una struttura cognitiva diversa dalla maggior parte delle persone.

La percentuale di comorbilità tra DSA e Asperger va dal 15 al 20%.

Questo vuol dire che 2 DSA su 10 potrebbe avere le caratteristiche dell’Asperger.

Quindi non tutti i DSA sono Asperger, ma potrebbero comunque avere delle piccole difficoltà associabili all’autismo di primo livello.

Questa sindrome, difficilmente viene riconosciuta perché i “sintomi” di cui parliamo non sono così evidenti. Solo un occhio esperto e specifici questionari sono in grado di mettere in luce queste caratteristiche.

Il bambino con autismo lieve/Asperger, può condurre apparentemente una vita normale, ma interiormente vivere tormentato dalle sue difficoltà. Oltretutto, si accorge di essere diverso dagli atri, perchè possiedono una spiccata intelligenza.

Questi bambini, che si mostrano timidi e riservati, da grandi saranno probabilmente adulti solitari, con una bassa autostima, e con difficoltà nel trovare un impiego adeguato alle loro caratteristiche. Spesso si accompagnano anche disturbi d’ansia, disturbi ossessivi, depressione e attacchi di panico.

Cosa cambia questo nel mondo dei DSA?

Moltissimo! in quanto una delle maggiori difficoltà per insegnanti e genitori, non è tanto aiutare i bambini nell’apprendimento, quanto capirli come persone a volte un pò “strane”.

Quali potrebbero essere queste caratteristiche un pò “strane”?

Faccio un piccolo elenco non troppo dettagliato in cui potreste riconoscere alcune caratteristiche.

  • Scarse abilità sociali;
  • Pochi amici;
  • Tendenza alla solitudine;
  • Difficoltà ad accettare le critiche;
  • Difficoltà al confronto e ad accettare il parere degli altri;
  • Difficoltà a comprendere lo stato d’animo dell’altro e a rispondere di conseguenza;
  • Difficoltà nella gestione della rabbia e delle emozioni in genere;
  • Aggressività;
  • Tendenza a depressione e ansia.

Queste sono solo alcune delle caratteristiche che di certe avrebbero bisogno di un approfondimento, ma ora riusciamo a dare un nome ed a trattare per le difficoltà che meritano un’attenzione particolare.

Delle difficoltà che pongono dei limiti sia a livello sociale che lavorativo, nonchè anche di vita di coppia e famigliare.

come i DSA, anche l’Asperger è una caratteristica genetica, quindi se riconosciuta in una persona, potrebbe essere riscontrata anche in altri membri della famiglia.

Gli studi che ho fatto sui DSA, mi hanno portato fino alla scoperta di queste. caratteristiche che comprendono anche gli ADHD.

La formazione che fino ad ora ho svolto nelle associazioni e scuole di tutta Italia prende nuove e interessanti sfumature.

Nuove informazioni preziosissime per i genitori e gli addetti ai lavori che finalmente possono capire e agire in modo differenze nei confronti di alcuni bambini.

So cosa vuol dire soffrire in classe solo al rumore dei compagni, so cosa vuol dire essere talmente stressati da non riuscire a concentrarsi su nulla, ma sopratutto so cosa vuol dire non essere compresi!

La formazione in questo settore è un dovere dal quale non dovete esimervi.

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DSA: gli aspetti comportamentali vengono spesso sottovalutati

La grande domanda sulla quale mi sono posto sempre molti dubbi è: quanto peso stiamo dando agli aspetti comportamentali e di personalità che spesso nel DSA si presentano?

Nella scuola di oggi, nella maggior parte dei casi succede che ci si occupa degli aspetti pratici legati difficoltà della lettura, scrittura e calcolo, dei Disturbi Specifici di Apprendimento, utilizzando metodi compensativi e dispensativi.

Ma questo è sufficiente?

Non sempre! Molti insegnanti non rispettano i PDP, e alcuni addirittura non sanno nemmeno cosa siano i DSA, quindi ci si trova spesso ad affrontare una vera e propria lotta per raggiungere il rispetto dei diritti che la legge 170 impone.

È stato dimostrato che non sono solo gli aspetti legati alle difficoltà didattiche ad essere preponderanti nel disagio legato ai DSA, ma ci sono anche degli aspetti comportamentali che vengono trascurati.

È chiaro che esistono le eccezioni, e ci sono insegnanti che hanno capito che l’aspetto più importante non è solo di ordine pratico nel rispetto del PDP, ma anche di ordine morale nel far sentire questi bambini inclusi nella classe.

Ma non tutti gli insegnanti hanno queste competenze, quindi cosa fare quando un bambino è a disagio a scuola?

Sarebbe molto importante approfondire le diagnosi per accertare che oltre ai DSA non ci siano altre difficoltà che influiscono sul comportamento del bambino.

Sono certo che nella maggior parte dei casi, l’equipe che svolge una diagnosi, si occupi di diversi aspetti diagnostici legati al paziente.

Spesso infatti insieme ai DSA, c’è anche un problema di attenzione o di iperattività (ADHD). È chiaro che in questo caso, non basteranno soltanto i metodi compensativi e dispensativi, ma ci troveremo davanti un bambino spesso in movimento e disattento, ed anche in questo caso non sono molti gli strumenti che ha la scuola a disposizione.

E cosa dire di alcuni disagi che spesso sono quasi trasparenti, ma che influiscono pesantemente sulla vita del bambino?

Sto parlando della Sindrome di Asperger, anche detto Autismo di primo livello.

Si definisce un Autismo ad alto funzionamento perchè l’individuo riesce ad adattarsi alla società emulando i comportamenti degli altri, ma dentro di se è spesso a disagio.

Non è una malattia, ma come si dice per i DSA, è un modo diverso in cui il cervello funziona rispetto agli stimoli ambientali e sociali.

Alta sensibilità, difficoltà a stare in grandi gruppi, disagio in situazioni con una molteplicità di stimoli ambientali, frequenti sbalzi di umore immotivati, difficoltà di gestione della rabbia, difficoltà a comprendere le regole della socializzazione, interessi specifici, la lista potrebbe proseguire ma non voglio far diventare questo articolo un compendio scientifico.

Voglio solo mettere in luce una neurodiversità spesso poco conosciuto e che spesso i clinici non prendono in considerazione nella diagnosi.

Questi bambino sono a disagio in classe, sono bloccati nello stare tra tanta gente, sono bloccasti dal forte stress provato nel clima competitivo della classe, hanno difficoltà a socializzare e per questo soffrono, preferiscono stare in ambienti isolati e dedicarsi ai loro interessi.

A mio parere è molto importante prendere in considerazioni questi aspetti , sia perché il costo a livello fisico e psicologico per questi bambini è veramente molto alto ed escono dalla scuola distrutti, sia perché si può fare qualcosa prima.

Con una diagnosi di Asperger si può condurre il bambino in un percorso di auto conoscenza, auto accettazione, e imparare alcune tecniche comportamentali e sociali che gli consentono di vivere meglio.

Se consideri importante questo argomento lascia pure il tuo commento.

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Dr. Fera Benedetto
Psicologo e Autore

Scoprire la Dislessia dopo i 30 anni: cosa fare!

La Dislessia (disturbo della lettura) come tutti gli altri Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA), fanno parte di una categoria non spesso nota.

Capita infatti nel corso di tutta la vita di percepire di avere delle difficoltà nello studio, e di procedere con fatica e con molti dubbi.

La sorprendente verità è che la Dislessia non è soltanto un disturbo della lettura e dell’apprendimento in genere, ma riguarda proprio un modo di vivere.

Sono Benny Fera, Psicologo, ed io stesso ho scoperto molto tardi di essere dislessico.

Questa scoperta mi ha stravolto e cambiato la vita.

Finalmente tantissimi dubbi avevano una risposta e la mia fame di sapere era arrivata alla stelle!

Mi ricordo che quando lo scoprii, avevo intrapreso da circa 5 mesi un percorso psicoterapeutico.

La psicoterapia non era di certo richiesta per la Dislessia, che non sapevo ancora di avere, ma per mille altri problemi che mi portavo dietro, come ansia, depressione, bassa autostima e attacchi di panico.

Di sicuro quel percorso mi è stato molto utile, ed ha risolto molte delle mie lotte interiori.

Ma cosa successe quando dissi allo psicologo: “penso di essere dislessico!”

In effetti l’argomento venne sviato perché la maggior parte degli psicologi non conosce questa problematica.

Tutto sommato non lo ritengo un fatto grave, perché ogni psicologo sceglie il suo percorso di studi, e non sempre la specializzazione che sceglie riporta difficolta come la Dislessia.

Mi rendevo conto che c’era un grande vuoto sull’argomento Dislessia e adulti, non sapevo veramente da chi farmi aiutare per approfondire e riconoscermi in questa caratteristica.

Decisi di armarmi di forza e coraggio e di approfondire l’argomento.

Il lavoro che ho fatto mi ha aiutato a capire me stesso, a conoscere le mie caratteristiche, a valorizzare i punti di forza e sopratutto a lasciar perdere quello che per me non va bene.

La Dislessia ha un’influenza sulla vita della persona che non è solo di carattere pratico sulla lettura ma taglia trasversalmente gli aspetti sociali, comportamentali, relazionali e psicologici.

Ho ritenuto molto importante che esistesse un servizio di supporto e consulenza per le persone che scoprono dopo i 30 anni di essere dislessiche.

Per questo ho allargato il campo delle mie consulenze, non solo dal vivo nel mio studio a Bari, ma anche online.

Nella prima consulenza andremo a verificare se effettivamente sei dislessico/a.

Alla fine della prima consulenza ti spiegherò il percorso personalizzato che andremo a fare insieme.

Chiamami o scrivimi al numero 3480019600 e ti darò tutte le info che ti servono per iniziare un percorso di crescita insieme.

Dott. Fera Benedetto, Psicologo esperto nei Disturbi Specifici di Apprendimento; Formatore scolastico e privato; Autore de “Il bambino dimenticato” e altri libri pubblicati su Amazon.

Perché ho scelto di lavorare come psicologo della famiglia

Credo che diventare psicologo non sia soltanto un caso.

Per me è sembrato tutto tranne che voluto, ma effettivamente credo che un bravo psicologo sia quello che ha imparato prima a capire se stesso.

Sono sempre stato una persona molto introspettiva e sentivo che dentro di me albergavano molte domande, dubbi e sopratutto disagi.

Fin da bambino mi sentivo fuori posto, ero contro la scuola, i luoghi comuni, le feste e i compleanni, non mi sono mai sentito come gli altri e per questo ho scelto pochi ed eletti amici.

Con il passare del tempo la situazione non è cambiata molto, ho creare una maschera per poter sopravvivere al mondo che mi stava intorno.

Da adolescente sono stato come un camaleonte: un grande disagio interiore mascherato da un ragazzino strafottente e spassoso, che veniva scelto per la sua stravaganza.

Ma non si può vivere a lungo cosi, prima o poi devi fare i conti con la realtà, e la tua parte interiore viene a bussare alla porta.

Ho deciso di andare più a fondo nella conoscenza di me stesso, ma credo di averlo fatto nel modo sbagliato.

Mi sono iscritto alla facoltà di psicologia credendo che, attraverso lo studio dell’argomento sarei riuscito a capire meglio me stesso, ma non è stato cosi!

Non sono mai stato un amante dello studio, anzi ho avuto grandi difficoltà, e mi ero illuso che a facoltà di psicologia potesse essere una specie di viaggio alla scoperta di se stessi.

Teoria e ancora teoria da mandare a memoria che sembrava non avere nessun effetto su di me.

Ho perso tanto tempo all’università, sono andato fuori corso e non sono mancati gli attacchi di panico, ansia e depressione.

Solo alla fine dell’università ho deciso che ne avevo abbastanza e dovevo affrontare la situazione di petto.

Decisi di andare per la prima volta dallo psicologo.

Mi sentivo sconfitto, mi sentivo abbastanza stupido nel chiedere aiuto ad un terapeuta per risolvere i miei problemi. Ho sempre pensato di poter contare solo su me stesso.

Sono entrato nello studio del terapeuta pieno di dubbi e rabbia, ma motivato a cambiare, ne sono uscito felice e una persona nuova dopo un anno.

Di certo la spesa non è stata indifferente, ma è l’unico investimento che rifarei di sicuro perché ti cambia la vita e ti resta per sempre.


Oggi penso che la terapia psicologica sia qualcosa di straordinario, è come aprire un piccolo forziere e scoprire un tesoro che è già dentro di te.

Non è stata l’ultima volta che ho affrontato una psicoterapia, in seconda battuta dopo qualche anno, ho affrontato un nuovo percorso.

Nella vita si cresce sempre, e non è escluso che i problemi diventino diversi da quelli del passato, anche questa volta non me ne sono pentito, ed è stata di sicuro una chiave per smuovere la parte responsabile che albergava dentro di me.

Ma perché ho deciso di dedicarmi alla famiglia e nello specifico ai bambini?

  1. Perché sono la parte più fragile dell’essere umano e spesso noi adulti non sappiamo trattare con loro
  2. Perché manca la consapevolezza di cosa vuol dire essere bambini, e pensiamo di poterli sovrastare mancando loro di rispetto
  3. Perché ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire non essere ascoltato e non essere capito ed oggi voglio essere la voce che i bambini non riescono ad essere.

Il bambino è la parte di me che ha avuto più bisogno di aiuto.

È la parte di me con cui ho avuto più confidenza ed oggi è diventata la mia dote.

Per me è naturale capire gli stati d’animo e le esigenze dei bambini, un punto di partenza fondamentale per poter lavorare con loro.

Molto importante è la famiglia che cambia all’unisono, perché non è mai tutta responsabilità del bambino il disagio che vive, ma spesso è dovuto ad una difficoltà interna alla famiglia. È importante lavorare con tutto il nucleo familiare, e mi piace l’idea che ognuno di loro possa finalmente ascoltarsi in modo nuovo, cosa che non era mai riuscito a fare tra le mura domestiche.

Pur essendo a famiglia i mio campo di predilezione, nella mia vita ho approfondito molto il campo della crescita personale nell’adulto.

Spesso siamo bloccati, ansiosi, depressi e non sappiamo nemmeno il motivo, il terapeuta è capace di farti vedere la tua vita con un occhio diverso ed a mio parere è un’occasione da non perdere.

A volte basta poco per togliersi le catene per sempre!

Dr. Fera Benedetto
Psicologo

Contattami per una consulenza dal vivo su Bari, oppure online tramite videochiamata.

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Se lo studente non prende uno stipendio, perché dovrebbe studiare?

Una domanda che mi sono sempre posto da ex studente è stata: “perché devo studiare queste cose che non mi piacciono, spesso anche imposte in malo modo? Come studente, qual’è il mio beneficio qui e ora per aver studiato determinate materie?”

La risposta potrebbe essere “il voto”, ma sinceramente per quanto mi riguarda non l’ho mai visto come una gratificazione, ma più come un giudizio. Quindi a mio parere il voto non è un premio.

È allora? perché uno studente dovrebbe essere “motivato allo studio”, come spesso si dice!

Ci sono studenti a cui piace studiare, e per il solo piacere di farlo, ne traggono un beneficio morale. Ma che facciamo della restante maggiornaza?

Il fatto che mi sconvolge ancora di più è che lo studente non ha scelto di studiare, bensi è obbligato a farlo!

Non sono qui a discutere dei benefici dello studio a lungo termine, sono sicuro che ridurre l’analfabetismo e dare delle possibilità in più ai giovani sia una cosa importante, ma mi viene sempre il dubbio, veramente lo studente è consapevole dei benefici dello studio? oppure la realtà che viviamo è che l’80% dei giovani non ha proprio interesse per lo studio?

Non do la colpa ai giovani! Sfido chiunque ad essere costretto a studiare per più di otto ore al giorno, spesso argomenti che non piacciono, senza stipendio.

È praticamente un lavoro a tempo pieno, ma gli studenti davvero non vedono i benefici dello studio nel qui e ora, se si considera anche il fatto che le distrazioni nella società di oggi sono moltissime rispetto a 100 anni fa, dove andare a scuola ed avere dei libri era una vera fortuna.

Partendo da questo presupposto, come può un insegnante “pretendere” da uno studente?

L’insegnante, a differenza dello studente, prende uno stipendio, non solo, ha di propria volontà scelto di fare quel mestiere! quindi dovrebbe essere già motivata a farlo.

E quindi cosa pretende un insegnante da uno studente?

Che studi e che prenda buoni voti! e perché?

Io non vedo perché, a ragion di logica, lo studente che è stato messo in classe non per scelta, senza ricevere nemmeno una gratificazione, dovrebbe essere interessato a studiare e ad ottenere buoni voti.

La disparità tra insegnante e studente è enorme, non c’è nessuno punto di contatto tra loro. L’insegnante entra in classe per spiegare la lezione e poi pretende degli studenti preparati.

Non solo, quando l’insegnante non ottiene i risultati sperati, spesso infierisce con giudizi, note di demerito e voti negativi. Ecco che, a questo punto, la vera motivazione dello studente è la paura!

La paura di ottenere brutti voti e punizioni da parte dei genitori lo porta ad impegnarsi di più a sforzarsi per ottenere buoni risultati, sviluppando però dentro di se un sentimento di ansia, paura, disprezzo e rassegnazione.

E quindi, come si fa?

Prima di tutto l’insegnante deve entrare in classe con una consapevolezza diversa:

  1. Lo studente non ha scelto di venire a scuola;
  2. Lo studente non riceve uno stipendio;
  3. Lo studente può non essere interessato a tutte le materie;
  4. Lo studente è costretto a stare in classe anche contro la sua volontà;
  5. Non tutti gli studenti sono portati per lo studio;
  6. Alcuni studenti soffrono a stare ore ed ore seduti al banco.

A questo punto, il mio consiglio agli insegnanti è quello di offrire qualcosa a questi poveri studenti, ad esempio qualcosa di molto semplice e che non costa nulla: “la fiducia, la stima e il rapporto umano”. Se riuscite a dialogare con gli studenti, a trattarli come individui, ad accettarli con le loro particolarità, vedrete che loro vi ricompenseranno, almeno avranno la motivazione di studiare per alimentare il rapporto di fiducia con voi.

A questo punto il voto passa in secondo piano, e non ha davvero valore, lo studente almeno deve sapere che in caso di difficoltà può contare sulla fiducia dell’insegnante.

Con la paura e la minaccia non si impara nulla, con l’emozione si ricorda tutto.

Dr. Benny Fera
Psicologo e autore.

Modelli genitoriali da cui cercare di allontanarsi

Abbiamo parlato nell’articolo precedente del “genitore perfetto“, tutti vorremmo esserlo, ma spesso non è facile perché siamo condizionati dall’educazione che abbiamo ricevuto.

L’informazione è importante! conoscere quali sono le caratteristiche educative per crescere dei bambini sereni, da la possibilità di migliorare se stessi.

Oggi vedremo alcuni modelli genitoriali disfunzionali, leggi gli elenchi sotto e tieni a mente se qualche caratteristica ti appartiene.

Continua a leggere “Modelli genitoriali da cui cercare di allontanarsi”

Il genitore perfetto

Titolo quantomai fuorviante, perché il genitore perfetto non esiste.

Ma esiste un modello di comportamento più adeguato per crescere dei figli emotivamente e psicologicamente sani?

Di sicuro molti studi sono stati condotti in ambito relazionale. Da questi nasce un modello di riferimento chiamato REBT (Relation Emotive Behavior Therapy) che espone 4 modelli genitoriali.

Oggi esponiamo il primo stile genitoriale che riguarda il genitore “perfetto”.

Continua a leggere “Il genitore perfetto”