DSA trasmissibile, la testimonianza di Alessia

“La diagnosi di DSA era percepita come una malattia trasmissibile!”

Il Sabato è dedicato alle testimonianze.

Oggi diamo voce ad Alessia, una ragazza che frequenta la scuola e vuole raccontare la sue esperienza con i compagni e i professori:

Ciao, io sono Alessia, frequento l’ultimo anno di superiori e sono DSA.

Ho perso un anno, poi ho cambiato scuola e vi dirò, “menomale!!”

Non mi trovavo bene con i compagni e tanto meno i prof.

La diagnosi di DSA in quel periodo scolastico era percepita da loro come una malattia trasmissibile!

E ciò non mi faceva stare bene per niente.

Per fortuna le cose sono cambiate e tra qualche mese sarò libera a tutti gli effetti! nonostante questa specie di sfogo.

Ci tenevo a dirti che nelle cose che scrivi mi ci rivedo molto, non solo perché è una situazione che vivo in prima persona, ma anche perché mi piace ciò che scrivi.

Ti ammiro tanto, continua così🍀💙

Cara Alessia, sono felice che tu sia riuscita ad uscire da quella brutta situazione!

Purtroppo la formazione e sensibilizzazione nelle scuole non è mai abbastanza!

Chissà forse un giorno andrò a fare uno dei miei convegni nella scuola dove ti trattavano male e alla fine capiranno!

Giusto per informazione del pubblico la dislessia e i DSA non sono una malattia e tanto meno trasmissibile!

Stiamo parlando di una caratteristica di cui la maggior parte di voi non proverà mai la meraviglia ❤

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Raccontami anche tu la tua esperienza, la pubblicheremo sabato prossimo!

Grazie da Benny Fera, psicologo dislessico e autore de “il bambino dimenticato”

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Il giorno del mio compleanno

Da bambino i festeggiamenti mi imbarazzavano, non mi piaceva stare al centro dell’attenzione.

26-10-1981

Oggi è il mio compleanno, e sono felice!

Lo so, le belle notizie non fanno mai molto audience, ma se mi conosci sai quello che ho passato.

Sono Benny Fera autore del libro “il bambino dimenticato”

Oggi voglio raccontarti di come mi sentivo il giorno del mio compleanno quando ero un bambino.

Mi vergognavo

I festeggiamenti mi imbarazzavano, non mi piaceva stare al centro dell’attenzione.

Non mi piaceva perché mi succedeva spesso in classe di essere umiliato davanti a tutta la classe.

Ormai era un’abitudine per me essere trattato come un asino.

Dentro di me ero convinto di non valere nulla!

La mia autostima era sempre sotto terra, e qualsiasi complimento mi facessero, mi sembrava una presa in giro.

Il giorno del mio compleanno non mi piaceva, perché non accettavo il fatto di essere festeggiato e di essere apprezzato.

Questo apprezzamento non risuonava nel mio cuore.

Erano battaglie con la mamma per cercare di organizzare una festicciola con i compagni di classe.

Andavo in ansia, perché per me era una prestazione anche stare in compagnia degli amici.

Mi dicevo: “sarò all’altezza della loro compagnia? e se non si divertono?”

Mi mettevo sempre in discussione, perché il mondo della scuola lo faceva con me.

ho passato la maggior parte degli anni della mia vita a nascondermi, sopratutto il giorno del mio compleanno.

Non volevo gli auguri di nessuno, sentivo di non meritarli.

Voglio dire a tutti che oggi sono felice

E apprezzo molto i vostri auguri!

Sento il vostro amore

E adesso vi accolgo perché mi sento finalmente un uomo realizzato.

Un uomo che si sente libero

Un uomo che finalmente ha trovato la sua missione di vita

Aiutare i bambini che soffrono!

Oggi è uscito il mio nuovo libro ad un prezzo speciale, clicca qui per acquistare

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Sei stato bravo ma puoi fare di più

un bambino che va a scuola non può esimersi dal giudizio quotidiano.

Ci sono state rare volte a scuola che riuscivo a capire particolarmente bene un compito.

In pratica riuscivo a volgerlo in maniera automatica e meccanica.

É tipico nei DSA avere un’intuizione.

Ci sono compiti di cui capiamo il meccanismo e riusciamo a replicare più volte.

In questi momenti particolarmente illuminati della mia vita scolastica, ero particolarmente soddisfatto di me.

“Finalmente, sono bravo come gli altri!” mi dicevo.

Mi piaceva mettermi in mostra con la maestra, mostrare il mio compito ben fatto per sentirmi dire “bravo, ma puoi fare di più”

Proprio ieri ho scritto un articolo sulla sensibilità del bambino con DSA.

Quel “puoi fare di più” risuonava in me come una martellata.

In un attimo la delusione si faceva spazio in me e la frase che mi risuonava dentro era “non sono abbastanza”.

Rapidamente cadevo nella mia solita tristezza, nel mio solito angolo buio.

Il mio angolo buio interiore, quello della vergogna!

Per molti sembrerà esagerato, ma per noi DSA, particolarmente sensibili, il giudizio degli altri fa particolarmente male.

La nostra sensibilità ci porta ad essere empatici, ed il giudizio degli altri non passa certo inosservato.

Ho fatto un grande lavoro sulla mia autostima per ricordarmi che il giudizio degli altri è indipendente da me ed è strettamente legato a quello che faccio e non a quello che sono.

Ancora oggi sono molto suscettibile ai commenti negativi, in qualche modo toccano quella parte infantile che vive dentro di me.

L’autostima è qualcosa su cui un adulto può lavorare, ma un bambino che va a scuola non può esimersi dal giudizio quotidiano.

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Spesso i genitori mi chiedono: come hai fatto a laurearti?

Si dice che la Laurea è un punto di arrivo, per me è stato un lancio nel vuoto.

La domanda che spesso mi fanno i genitori durante gli eventi sulla dislessia è:

“Come hai fatto a laurearti?”

Ed io rispondo: “Tra un Gin Tonic e un Margarita…”

A parte gli scherzi, non è stato facile arrivare al traguardo della laurea, se consideriamo anche il fatto che ho intrapreso questo percorso per diversi motivi:

  1. Dimostrare alla mia famiglia di essere capace
  2. Dimostrare a me stesso di potercela fare
  3. capire me stesso

Mi sono laureato in psicologia, ma non è stato grazie alla laurea che ho capito me stesso, ma grazie ai libri che ho letto per mia libera scelta.

A parte questo, quando intraprendi un percorso di studi con la rabbia dentro non è mai facile, sopratutto se hai delle difficoltà nell’apprendimento.

Durante il percorso di laurea non sapevo di avere un DSA.

Sono andato avanti con molta fatica.

  • Cercavo di imparare le parti più importanti a memoria
  • Facevo piccoli riassuntini
  • mi segnavo delle parole chiave

Vi assicuro che mi rimaneva ben poco di quello che studiavo, e non per gli argomenti trattati, quelli erano interessanti di certo, ma per il modo in cui erano scritti.

I testi scolastici e universitari sono scritti in maniera formale e descrittiva, praticamente veleno per il cervello DSA.

Il linguaggio preferibile per una mente DSA è quello discorsivo, dove si racconta un contenuto sotto forma di storia.

Il mio percorso di studi si è concluso con 3 anni fuori corso e con molta delusione.

il giorno dopo la laurea ero distrutto perché mi ero accorto di aver fatto tanta fatica per dimostrare qualcosa alla mia famiglia.

Portavo dentro tanta rabbia per le ingiustizie che avevo subito a scuola.

E con la stessa rabbia puntavo il dito contro me stesso e dicendo: “ce la devi fare! altrimenti hanno avuto ragione tutti gli insegnanti che ti dicevano che sei un asino.”

Sapete non è questa la realizzazione di una persona.

Infatti dentro mi sentivo svuotato, non avevo più nessun obiettivo in mente e non avevo idea da dove iniziare.

Si dice che la Laurea è un punto di arrivo, per me è stato un lancio nel vuoto.

La realizzazione di una persona arriva quando l’individuo riconosce le sue abilità, le sue passioni, il senso della sua vita, e mette a disposizione le sue conoscenze per il mondo.

La realizzazione di una persona arriva quando senti che quello che stai facendo ti fa stare bene e non lo usi come un mezzo per punirti o per dimostrare qualcosa agli altri.

Per questo motivo cari genitori lavoro per una scuola diversa.

Perché un giorno i vostri figli non siano colmi di rabbia e non compiano azioni solo per dimostrare qualcosa agli altri, o addirittura contro loro stessi.

Per questo cari genitori ci tengo a dire che un bambino arrabbiato per la scuola, porterà questa rabbia dentro come un’ingiustizia e la vivrà dentro di se come un demone.

Per questo cari genitori la laurea non è cosi importante.

É importante la gioia di vostro figlio, l’amore e la passione che metterà nel lavoro che sceglierà di fare.

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Hanno detto che mio figlio è malato

Quando dico che mio figlio ha una diagnosi di DSA, cosa penseranno di lui?

Durante una delle mie dirette, parlavamo di dislessia e di disturbi di apprendimento, un argomento che mi sta molto a cuore, non solo perché mi riguarda di persona, ma perché riguarda migliaia di bambini a scuola.

Una mamma esordisce con questa frase:

“Benny, un’insegnante ha detto che mio figlio è malato! ti rendi conto? siamo nel 2018 e c’è ancora tanta ignoranza!”

La mia prima risposta di stomaco è stata:

“Beh non mi sorprende affatto!”

Per una persona che non sa nulla sulla dislessia e i disturbi di apprendimento, è normale pensare che una diagnosi equivale ad una malattia.

Infatti se andiamo sul vocabolario troviamo:

Diagnosi: In medicina, la determinazione della natura o della sede di una malattia in base alla valutazione dei sintomi.

Nel caso specifico, la situazione è molto grave.

Un’insegnante che oggi non sa cosa sia la dislessia e i disturbi di apprendimento rischia la denuncia. Oggi esiste la legge 170 a tutela di questi bambini.

Se l’insegnante conoscesse la legge, saprebbe che non si tratta di una malattia.

Nei manuali il Disturbo Specifico di Apprendimento, viene definito come “neurodiversità” cioè un modo diverso del cervello di reagire alla lettura rispetto alla media della popolazione.

Non mi dilungherò molto sull’argomento scuola e insegnanti, ne parlo già abbondantemente.

Vorrei portare la riflessione fuori dalla scuola.

Pensate ad una situazione del genere:

Una mamma incontra un’altra mamma e mentre parlano dei propri figli viene fuori che il figlio di una delle due ha una diagnosi di dislessia.

Come spesso accade l’altra mamma cadrà dalle nuvole, al massimo dirà “ah si! ne ho sentito parlare…”

Cosa volete che pensi una persona che sente, “mio figli ha una diagnosi di dislessia?”

Beh. la prima cosa che penserei se non conoscessi il tema, sarebbe che il bambino ha una malattia: diagnosi = malattia.

A parte il mondo scolastico, non credo che sia nell’interesse di tutta la popolazione conoscere cosa sia la dislessia e i disturbi di apprendimento!

Un problema che riguarda solo il 5% della popolazione.

Oggi è importante sapere tutto su Chiara Ferragni, Su Fedez, sull’isola dei famosi.

Ma vi assicuro che pochi si prendono la briga di informarsi su un tema che porta delle contraddizioni. In primis: affibiare una diagnosi ad un bambino intelligente e sano.

Quindi cosa stiamo combinando?

Un bel pasticcio!

la scuola che usa metodi di apprendimento restrittivi ed antiquati, basati sulla letto-scrittura.

Questi metodi didattici escludono dall’apprendimento tanti bambini che hanno delle caratteristiche cognitive differenti. 

Il primo obiettivo è cambiare la scuola!

Fare una bella diagnosi alla scuola per scoprire che soffre di demenza senile.

Articolo scritto da Benny Fera, psicologo dislessico e autore del libro “il bambino dimenticato”

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Mi occupo dei diritti dei bambini

Quando i diritti dei bambini verranno rispettati, scompariranno le diagnosi e le etichette.

Non mi occupo di scuola

Non mi occupo di DSA

Mi occupo dei diritti dei bambini.

Questo blog è nato nel 2015 con l’intendo di sensibilizzare al disagio scolastico.

In particolare a quel disagio scolastico sofferto da alcuni bambini con disturbi specifici di apprendimento.

Ma non è solo questo che faccio

L’obiettivo di questo blog e la mia missione di vita è restituire i diritti ai bambini.

Diritto dei bambini ad essere ascoltati

Oggi i bambini a scuola vengono trattati come numeri, non vengono ascoltati e per di più devono eseguire compiti che l’adulto impone dell’alto.

I bambini hanno i loro desideri, le loro passioni ed hanno il diritto di essere ascoltati.

Hanno il diritto di perseguire i loro sogni perché è proprio questo il senso della vita: la realizzazione di sé.

Diritto dei bambini al gioco

Per natura i bambini apprendono attraverso il gioco.

L’età dello sviluppo è il momento più creativo nella crescita di un individuo.

oggi teniamo i bambini chiusi in classe a leggere, scrivere, far di conto e imparare a memoria in maniera passiva.

La creatività è libertà di espressione

Diritto del bambino alla libertà

Per alcuni bambini è una vera sofferenza stare 6 ore chiuso in classe.

Per loro non c’è scampo, la scuola è un passaggio obbligato, stare chiusi in classe è la norma!

Siamo nel 2018 è nulla cambia da 100 anni.

Voglio che sia chiaro che questo blog nasce per un valore che va oltre le diagnosi, il PDP, mezzi compensativi e dispensativi.

Queste cose mi fanno venire l’orticaria!

Io combatto per dei valori più grandi!

Combatto per i diritti dei bambini che oggi non vengono ascoltati!

Nel momento in cui i diritti dei bambini verranno rispettati, scompariranno le diagnosi e tutti questi finti “disturbi”!

Se anche tu credi in questi valori condividi questo articolo.

Articolo scritto da Benny Fera
Psicologo e autore de “il bambino dimenticato”

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Cosa vuol dire insegnare

dal vocabolario Treccani:

In genere, far sì, con le parole, con spiegazioni, o anche solo con l’esempio, che qualcun altro acquisti una o più cognizioni, un’esperienza, un’abitudine, la capacità di compiere un’operazione, o apprenda il modo di fare un lavoro, di esercitare un’attività, di far funzionare un meccanismo.

Adesso passiamo al codice deontologico (codice di comportamento) dell’insegnante.

Prenderò in esame solo la parte del rapporto con gli allievi e la esaminerò nelle parti

E’ nel concreto dell’azione educativa, nel modo di stare nella scuola, nella valutazione, nell’organizzazione del lavoro del gruppo-classe, che devono emergere i valori della cultura, della giustizia, della tolleranza, del rispetto delle differenze. 

“I valori di giustizia, tolleranza e rispetto delle differenze” non vengono applicati dagli insegnanti.

Non è bello generalizzare, faccio riferimento al rapporto di molti insegnanti con gli alunni DSA, settore di cui mi occupo. Sento spesso genitori lamentarsi, anzi soffrire per come viene trattato il proprio figlio in classe.

“La giustizia” è diventato un concetto inapplicabile in quanto sappiamo che i DSA hanno diritto a Piani Didattici Personalizzati e questo già li porta ad affrontare l’apprendimento in maniera diversa dai propri compagni. Per quanto l’insegnante possa accettare o meno di applicare il PDP, “l’esclusività” del PDP rende “diverso” l’alunno con DSA e i compagni di classe ne risentono come un’ingiustizia.

“La tolleranza” questa sconosciuta la sostituirei con frustrazione, visto che molti insegnanti non sono affatto tolleranti verso il modo si apprendere degli alunni DSA (errori ortografici, grafia illeggibile, lettura lenta o sillabata, difficoltà nel calcolo). In questi casi in genere l’insegnante spinge a fare meglio dove l’alunno non può.

Per non parlare del “rispetto delle differenze”, il concetto meno applicato di tutti, e non riguarda solo gli alunni DSA. In genere si tende al livellamento. Tutti devono essere bravi a fare la stesso compito. Se il principio di “essere bravo” si basa sul giudizio di un solo insegnante sarà molto difficile che “le differenze” siano rispettate.

Ma anche e fortemente il valore del merito, che deve essere sostenuto e accompagnato da altri due valori, da vivere come complementari e non contrapposti, la solidarietà e l’emulazione positiva. Questi due valori troppo spesso presentati come contraddittori e antagonisti devono, invece, alimentarsi reciprocamente: le azioni positive dei compagni, i loro successi, possono, devono spingere ad una emulazione costruttiva.

Inutile dire che il più bravo riceve un trattamento diverso rispetto agli altri. Se partiamo dal presupposto che il voto definisce delle categorie di bravi e meno bravi, la contraddizione è intrinseca nel codice stesso.

Quando si parla di “solidarietà” a cosa ci si riferisce? Magari al fatto che il compagno più bravo può aiutare quello meno bravo? Non mi pare che questo succeda a scuola, la regola è: “non copiare”, quindi di quale solidarietà stiamo parlando?

“L’emulazione positiva” può essere definita come la volontà da parte dell’alunno meno bravo di fare bene come l’alunno “meritevole”, ma qui entriamo nel campo delle differenze, e cioè che non siamo tutti uguali, infatti per quanto un alunno si possa sforzare a fare meglio (come nei casi di DSA) spesso non ci riesce e addirittura lo sforzo non viene nemmeno riconosciuto.

“le azioni positive dei compagni, i loro successi, possono, devono spingere ad una emulazione costruttiva” , ok! tante belle parole! ma come si applica in una classe di 25 alunni?

… dovere dell’insegnante di avere comportamenti coerenti con le finalità della “formazione”. Tutto questo implica il dovere di non appiattire l’insegnamento su di un modello standardizzato e in quanto tale astratto, ma di progettarlo ed applicarlo, tenendo conto delle inclinazioni e aspirazioni degli allievi che si hanno di volta in volta di fronte.

Questa parte mi sembra anche inutile da commentare in quanto non viene quasi mai applicata.

Il modello standardizzato è l’unico modo per “portare avanti il programma”, se ogni insegnante si dedicasse alle inclinazioni e aspirazioni di ogni allievo, avremmo di fronte molti casi di burnout ed esaurimento nervoso. Non si può chiedere questo ad un’insegnante. É una persona, non un eroe, siamo di fronte comunque a scolaresche di 20 bambini. L’appiattimento ad un modello standardizzato è l’unica soluzione.

Il rendimento medio rimarrà un traguardo importante, ma non potranno essere trascurati né gli allievi con difficoltà, né quelli particolarmente dotati.

Siamo di nuovo di fronte a un’assunto contraddittorio. Di base in una classe ci sarà sempre da un lato il più bravo e dal lato opposto il meno bravo e il resto della classe che sarà nella media.

Di solito nella in un campione statistico (in questo caso 25 alunni) il rendimento si distribuisce intorno ad una gaussiana, che difficilmente si modifica.

Quindi il rendimento medio è quello che è!

Più importante è invece “non trascurare gli allievi con difficoltà, ne quelli particolarmente dotati”: molto spesso questi ragazzi sono costretti a seguire passivamente il flusso della classe, perché in minoranza.

Non diamo sempre la colpa agli insegnanti, in questo caso è implicato l’alto numero di alunni che non consente di lavorare adeguatamente.

Facciamo appello anche all’ego di qualche insegnante che spesso per mostrare la sua incredibile capacità di migliorare il rendimento della classe tende a rinforzare i più bravi lasciando indietro i meno bravi.

La valutazione è un momento importantissimo nella relazione educativa: è importante per imparare, è importante perché attraverso di essa si comunicano implicitamente dei valori, come quello della giustizia, è importante per capire come si debba e si possa stabilire un rapporto di fiducia fra allievo e insegnante anche di fronte a risultati negativi, è importante perché può rafforzare o indebolire l’autostima, perché può stimolare l’apprendimento o al contrario indurre atteggiamenti di rinuncia e di rifiuto. E’ nella valutazione che massimamente si coglie l’importanza della componente emotiva ed affettiva dell’apprendimento.

Trovo questa parte molto lacunosa, si dice “il voto è importante per imparare”, cosa vorrà mai dire? che il voto ha intrinseca una qualità educativa? secondo me, ne più nemmeno dello zuccherino per il cavallo.

“Si comunica il valore della giustizia”, anche questo non mi è ben chiaro, quale giustizia? forse vorrà dire che quelli più bravi hanno il diritto di andare avanti e quelli meno bravi no?

Si possa stabilire la fiducia anche in caso di risultati negativi” e come? dopo un brutto voto mi fai una carezza e mi dici che va tutto bene? e poi la prossima volta che fai mi alzi il voto o mi fai un’altra carezza? non sono mica un cavallo! (con tutto il rispetto per il cavallo).

Si dice ancora “il voto è importante perché può rafforzare o indebolire l’autostima”, molto bene, e allora non sarebbe molto meglio non darli? se il rischio che si corre è quello di abbattere l’autostima di qualcuno, beh io ne farei volentieri a meno.

“può stimolare l’apprendimento o al contrario indurre atteggiamenti di rinuncia e di rifiuto”: loro lo sanno che il voto ha un lato oscuro, ma si continua ad andare avanti cosi.

“E’ nella valutazione che massimamente si coglie l’importanza della componente emotiva ed affettiva dell’apprendimento.”: Questa è la bugia più grossa che abbia mai sentito, una vera cazzata! Cosa c’entra un numero con le emozioni e l’affetto!  Quindi ne deduco che un buon voto equivale ad un consenso, ad una carezza, mentre un brutto voto equivale ad uno scappellotto! Molto triste!

Non c’entra nulla l’apprendimento con il voto. L’apprendimento è qualcosa che avviene spontaneamente nella volontà della persona secondo i suoi valori, le sue passioni e il suo amore per la vita. A mio parere la scuola non c’entra proprio nulla con l’apprendimento.

Ciò non toglie che la certificazione finale delle conoscenze e delle competenze debba essere il più possibile obiettiva ed imparziale e prescindere da condizionamenti di carattere psicologico, ambientale, sociale o economico degli allievi.

Questo mi sembra d’obbligo, ed è giusto scriverlo, casomai qualcuno se ne dimenticasse. Altrimenti parleremmo di razzismo, classismo, bullismo e compagnia bella.

Quindi chi è l’insegnante?

L’insegnante oggi ha un ruolo molto difficile, perché ha diversi compiti da dirimere:

  • educazione
  • affettività
  • civiltà
  • apprendimento
  • rispetto

A mio parere chiediamo troppo a questa figura professionale, perché ognuna delle voci elencate sopra richiede un lavoro a parte.

Non possiamo delegare all’insegnante tutto questo bagaglio per di più in condizioni di 25 alunni per classe con la croce del programma da portare a termine.

Io di formazione faccio lo psicologo e mi rendo conto di quanto è complesso il mio lavoro in una relazione uno ad uno.

Ho imparato che bisogna riconoscere i propri dolori, i propri traumi del passato, i propri limiti e i propri schemi, per non cadere nell’errore di confondersi con l’altra persona.

Sento spesso di insegnanti che offendono i bambini, che usano le etichette “vivace, lento, dislessico e addirittura stupido” con una facilità estrema.

Questo fenomeno lo capisco benissimo, non è facile lavorare tutti i giorni sotto stress, succede che alla fine si cade in errore.

In questi giorni ho letto tutti i vostri commenti su Facebook, tutte le vostre sofferenze e mi sono profondamente immedesimato.

Sono dolori che ho provato anche io, che hanno provato anche i miei genitori per le difficoltà subite a scuola.

Ma dobbiamo sempre avere la mente aperta e saper guardare anche l’altro lato delle medaglia.

Mettetevi nei panni di un’insegnante e provate a capire per un attimo cosa vuol dire lavorare tutti i giorni con decine e decine di alunni diversi, con un programma da seguire, con delle regole da rispettare, e spesso anche sotto stress per una classe “vivace”.

Guardate anche le condizioni in cui la scuola mette l’insegnante, costretto a far rispettare delle regole, a mettere voti e ad esprimere giudizi, non è di certo un ruolo imparziale.

Abbiamo oggi esaminato una parte del codice deontologico, e avrete notato quante parti lacunose presenta.

Cercano di confonderci con le chiacchiere, ma a Benny non sfugge nulla 😉

E tu cosa pensi di questo articolo? cosa pensi del ruolo dell’insegnante? scrivilo nei commenti.

 

Niente scuola, niente disturbi!

Spesso mi trovo a dover affrontare il tema delle diagnosi sui disturbi di apprendimento.

C’è una divisione netta tra i genitori

Chi accetta la diagnosi come mezzo di supporto a scuola

Chi non accetta una diagnosi perché la ritiene un’etichetta orrenda

Chi dice che la diagnosi non serve a niente

Chi dice che la diagnosi è un modo per capire come approcciarsi a questi ragazzi con DSA

Mi ritrovo sempre a mettere il punto su un argomento, che va oltre la diagnosi, i disturbi di apprendimento e la scuola.

Il valore per cui mi batto è la dignità dell’essere umana e il diritto di essere se stessi!

La questione oggi tanto dibattuta del “sentirsi diversi”, deriva dal semplice fatto che i bambini e gli adoloscenti vengono costretti a confrontarsi.

Dove?

A scuola

Come?

Attraverso i voti, attraverso i giudizi!

In quale campo?

Nel campo delle lettere, numeri ed apprendimento mnemonico.

Questa forzatura non consente a tutti di riconoscersi nelle proprie capacità.

Purtroppo avviene esattamente il contrario.

Nei ragazzi etichettati dislessici, disortografici, discalculi, si instilla insistentemente un dubbio:

“perché io non riesco a fare le cose come tutti gli altri?”

Ma da dove viene questa domanda?

Questa domanda nasce da una didattica limitata alle lettere e ai numeri!

Sappiamo che questi ragazzi non sono bravissimi in questo campo, ma sono molto bravi nella creatività, tanto da essere definiti spesso molto intelligenti.

Il problema esistenziale di questi individui è che nella loro testa NON nasce una domanda ben più importante!

“in cosa sono bravo?”

“cosa so fare bene?”

Il contesto scolastico impedisce a questi brillanti giovani di scoprire se stessi.

Nella maggior parte dei casi gli viene affibbiata una diagnosi, vengono aiutati, e si sentono più adeguati in un contesto per loro non ideale.

Vi lancio una provocazione:

Cosa succederebbe in un mondo senza scuola?

Cosa succederebbe se questi individui fossero liberi di esprimere il loro potenziale?

Cosa succederebbe se invece di costringerli a leggere, scrivere e imparare a memoria, potessero esprimere la loro creatività?

Sarò un visionario, ma io vedo un mondo felice, dove ognuno può esprimere se stesso per quello che è senza etichette, disturbi e diagnosi.

Benny Fera
psicolgo e autore 

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Dove sto andando? se mi segui voglio che tu lo sappia!

Ieri sera in diretta su Facebook ho spiegato con la mia solita enfasi la direzione in cui sto andando.

É importante che chi mi segue sappia qual’è il mio obiettivo e la direzione che sto prendendo.

La maggior parte delle persone che seguono questo blog e la pagina Facebook sono genitori, per lo più mamme. Continua a leggere “Dove sto andando? se mi segui voglio che tu lo sappia!”

Esci da scuola che ti fumano le orecchie

Ho fatto un tuffo nel passato a quando andavo a scuola

Ho potuto vedere delle immagini nei ricordi

Ho potuto vivere le stesse sensazioni che ho provato allora

A volte nella mia mente le sensazioni sono cosi vivide che quasi mi spavento e mi rattristo

Le maestre, i miei genitori, mi accusavano di essere svogliato, di non impegnarmi abbastanza.

Spesso reagivo con rabbia, ma presto mi prendeva lo sconforto, mi sembrava una battaglia inutile.

Ricordo che ogni tanto dentro di me una vocina si faceva spazio.

una vocina flebile tra le altre voci grosse “sei un asino, sei la pecora nera, non vali niente”

La vocina flebile era il coraggio

Il coraggio mi diceva: “Dai Benny! Provaci! ce la puoi fare!”

Davo coraggio a me stesso!

Mi facevo delle promesse

“Dai Benny, oggi proviamo a stare attenti in classe, proviamo a seguire la lezione e magari anche a rispondere a qualche domanda”

E ci riuscivo, a volte ci riuscivo, ma a quale costo?

La fatica che facevo per stare attento in classe era immane.

Fatica verso lunghissimi monologhi dell’insegnante che a me sembravano sterili e privi di contenuti interessanti.

Eppure mi dicevo “tutti seguono la lezione, posso farcela anche io”

Era una lotta con me stesso

Dovevo ascoltare la voce dell’insegnante e mandare al diavolo tutti i pensieri meravigliosi che avevo per la testa.

un lavoro faticosissimo!

Ricordo perfettamente il mio stato quando terminavano le lezioni.

Affannato, privo di ossigeno, sembrava che avessi fatto la maratona dei 100 chilometri.

Testa e orecchie bollenti, gambe tremolanti, respiravo a pieni polmoni l’aria aperta.

Ricordo esattamente l’odore degli alberi e della terra nel giardino della scuola.

Un profumo che mi ridava le forze, che mi faceva sentire di nuovo vivo.

Sfinito tornavo a casa e mi chiedevano: “com’è andata a scuola?

E come se non bastasse “Dopo mangiato subito a fare i compiti

Ero un bambino, ero ignaro sul perché facessi tanta fatica a scuola, non facevo altro che sentirmi diverso e chiedermi: “ma come fanno gli altri?”

Oggi ho capito che non sono distratto, non sono svogliato, sono solo dislessico.

Oggi resto concentrato per ore sul mio lavoro!

Studio, organizzo eventi sulla dislessia, faccio lo psicologo e lo scrittore.

Ma come faccio oggi?

Semplice!

Seguo i miei interessi e le mie passione, ciò che a scuola mi hanno sempre impedito di fare.

Articolo scritto da Benny Fera psicologo dislessico e autore

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